STRAGE DI GRAGLIA

Me li sono immaginati questa mattina.
Gruppetti di famigliari, straziati dal dolore, recuperare a mani nude le salme dei loro cari, sepolte ormai da sette mesi nella semplice terra.
Scavare a fatica, accompagnati da prelati di paese dalla tonaca consunta, tra gli sguardi e gli insulti sussurrati di una popolazione ostile, che vedeva in loro la propria vergogna, l’inconfessabile rimorso di indicibili crudeltà commesse.
Caricare quello che restava dei loro congiunti su misere carriole, adagiandoli in semplici bare di legno chiaro, spesso nemmeno riconoscendoli, poveri resti che avevano ormai perso ogni sembianza umana, ogni riferimento amato.
Come se li vedessi questa mattina.
Mi erano accanto in quella ricerca tra i boschi e le cascine che fanno da contorno al nostro Santuario di Graglia.
Si perché in questi luoghi a guerra finita vennero uccisi 34 poveri inermi.
Uomini e donne catturati e condotti tra questi monti per una strage premeditata, per una vendetta spietata.
27 uomini, 5 ausiliarie e due giovani mogli, che avevano voluto seguire i mariti nella ritirata.
Una di loro era incinta di 6 mesi, ma questo non le valse la salvezza.
La guerra era finita da giorni, ma questo non valse a tacitare le armi.
A gruppi vennero condotti presso queste baite isolate, spietatamente soppressi e interrati nei prati, e si cercò a lungo di negare i delitti, di cancellare ogni traccia, di intimorire ogni testimone.
Oggi la loro presenza si avvertiva ancora palpabile in quei luoghi.
Sentivo il desiderio di toccare con mano, di immaginare le loro voci, il loro terrore, le loro sofferenze.
Si dice che molti pregassero ad alta voce lungo il tragitto, stupendo per questo i loro stessi assassini.