Ho appena terminato la rilettura del libro di Massimo Recchioni su Francesco Moranino “Gemisto”.
Si tratta dell’ultimo ennesimo tentativo di riabilitare la figura del discusso capo partigiano biellese, sul quale si sono scritti in passato fiumi d’inchiostro, anche sulle pagine di numerosi processi penali.
Alla fine Moranino venne condannato in maniera definitiva all’ergastolo per l’uccisione di soli 5 partigiani non comunisti e 2 loro mogli, trascurando completamente le centinaia di vittime trucidate per suo ordine dai suoi sottoposti.
Incredibilmente il libro non protesta l’inconsistenza dell’accusa ma afferma candidamente che nella situazione di guerra clandestina questi errori erano possibili e del tutto giustificabili!
Unico spiraglio di partecipazione emotiva l’ho provato nella descrizione della morte di Gemisto.
Il potente ex comandante partigiano solo e malato in una casa di Grugliasco, emarginato sostanzialmente dal suo stesso partito, viene colto da un attacco cardiaco nel cuore della notte.
Cerca di svegliare la figlia adolescente che assonnata e confusa non riesce a prestare le necessarie cure immediate.
Muore così, banalmente come un comune mortale, portandosi seco segreti e tragedie che non potranno mai essere dimenticate.
Credo che il dubbio e il pentimento non albergassero nel suo animo, e questa per me è la considerazione più grave.