L’EPISODIO DI DONATO LACE

Donato Lace, uno degli episodi più celebrati dalla retorica resistenziale biellese.
In quel luogo venne catturato l’intero comando della VII Divisione e della 76° Brigata garibaldina.
Tra questi figurano ben due medaglie d’oro della resistenza, il comandante di Divisione Walter Fillak e il biellese Ugo Macchieraldo.
La vicenda era cominciata la sera precedente quando, al seguito di una segnalazione, una pattuglia di tedeschi e di russi arruolati nelle loro file, aveva circondato l’Albergo Mombarone ad Andrate, uccidendo il comandante partigiano Carrell e catturando due suoi uomini.
La sera successiva, guidati da uno di questi partigiani, una squadra di tedeschi equipaggiati con divise bianche invernali, aveva circondato l’edificio del comando della 76°Brigata, ucciso due sentinelle ed intimato la resa ai comandanti sorpresi nel sonno all’interno.
Non ci fu resistenza e i 13 partigiani furono fatti prigionieri ed avviati in direzione di Borgofranco.
Al passaggio tra le case di Donato ci fu una breve sparatoria con alcuni componenti di una banda partigiana che era accorsa richiamata dagli spari, ma fu il Macchieraldo stesso che gridò più volte ad alta voce di non sparare, temendo che potessero essere uccisi da fuoco amico.
La colonna giunse quindi a Croceserra e scese a Borgofranco dove i prigionieri vennero interrogati e giudicati da un tribunale militare.
Solo tre uomini si salvarono, gli altri vennero passati per le armi in diverse località piemontesi.
Ai partigiani non restò quindi che vendicarsi su quanti venivano ritenuti in qualche modo colpevoli dell’accaduto, il partigiano traditore e l’oste dell’Albergo Mombarone di Andrate, che vennero prelevati ed eliminati brutalmente.
Ma la vera responsabilità è da attribuire all’imprudenza del comando nel pernottare in un unico luogo con scarsa o inesistente scorta di armati, mentre gli efficientissimi reparti antiguerriglia teutonici davano loro la caccia con ogni mezzo.
Riprendo a scrivere, per chi vuole approfondire quanto ho riportato nei giorni scorsi, in merito alla cattura dell’intero comando della VII Divisione partigiana Garibaldi nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 1945 nei pressi della località Lace di Donato.
La mia ricostruzione si avvale, oltre che di documenti d’archivio, delle testimonianze di ben due partigiani testimoni diretti dei fatti, citate sui libri “Noi della VII” di Primo Corbelletti, successivamente comandante della stessa formazione, e “Sala nella resistenza” edito a cura dell’Associazione partigiani di Sala Biellese.
Il primo resoconto è di Battaglino Alessandro, il partigiano “Ciglio” uno dei tre arrestati salvatosi dalla fucilazione.
Battaglino descrive dall’interno del comando la sequenza dei fatti della cattura, la completa sorpresa di quell’accerchiamento, mentre l’intero comando era avvolto nel sonno con solo due sentinelle all’esterno a sorvegliare i vari alloggiamenti dell’intera Divisione.
Riferisce l’atteggiamento dei membri del comando, che decidono, vista la situazione, di arrendersi senza reagire, le successive fasi della cattura, il breve interrogatorio nel quale i membri del comando dichiarano spontaneamente la loro qualifica e grado, l’incendio appiccato alla baita quando ancora i prigionieri erano all’interno, la traduzione verso Croceserra ed Andrate e il breve conflitto a fuoco nel passaggio fra le case di Donato, nel quale lo stesso comandante partigiano Macchieraldo ordina a gran voce ai suoi commilitoni di sospendere il fuoco, nel timore di essere colpiti da fuoco amico.
Segue il racconto della traduzione a Borgofranco e del giudizio presso una corte militare di guerra.
Il secondo rapporto è fatto, per sua stessa ammissione, da uno dei più spietati “eliminatori” della formazione partigiana, Franco Piero Marchetti nome di battaglia “Patuski”, membro del distaccamento che alloggiava in una baita poco più in basso di quella del comando della Lace.
Marchetti ricorda che solo poche ore prima i membri del comando lo avevano inviato in missione ad Ivrea per eliminare un civile qualificato come spia.
Fallita la missione era ritornato quella sera con un tedesco prigioniero e gli era stato ordinato di condurlo al distaccamento perché i suoi capi lo avrebbero interrogato solo il giorno appresso.
Svegliato di soprassalto nel cuore della notte dalla sparatoria che avveniva a pochi passi da loro, era fuggito coi suoi compagni giù nel vallone rifugiandosi sull’altra sponda nei pressi di Ceresito, a suo dire rendendosi conto solo in seguito che il comando era stato attaccato e che bruciava nell’oscurità.
Ritornato insieme ai suoi nel luogo dell’agguato, potevano solo constatare che la baita era già completamente bruciata e il nemico si era allontanato traendo con se ben 13 prigionieri.
I racconti sono precisi, dettagliati e permettono una ricostruzione puntuale dei fatti.
Nonostante ciò, ogni anno, in occasione della commemorazione ufficiale, vengono spese parole totalmente difformi dal resoconto reale, volendo evidentemente celare un episodio che, al di là del triste destino dei catturati, denota l’evidente impreparazione e superficialità dei comandanti e dei combattenti della resistenza biellese.
La baita sede del comando della VII Divisione partigiana Garibaldi
Quello che rimane della baita bruciata, vista dall’alto.
L’intera zona dello scontro con la collocazione della baita del comando in basso a dx accanto alla biforcazione, il vallone dove era collocata la baita del distaccamento, la località di Ceresito in alto ed il paese di Donato dove avvenne la sparatoria.