LE ARMI DEI PARTIGIANI

E’ comunemente riportato che i partigiani fossero mal armati, dotati di armi raffazzonate ed in costante scarsità di munizionamento ed esplosivi.
Nulla di più falso.
Ho pubblicato ieri un inventario dell’armamento che venne paracadutato il 26 dicembre 1944 alle bande partigiane della Valsessera, ma questa fornitura non fu un fatto episodico ma bensì parte di un costante approvvigionamento operato dai servizi alleati alle formazioni della resistenza biellese.
Passato un iniziale periodo nel quale le nascenti formazioni di partigiani comunisti si approvvigionavano assaltando le caserme isolate dei carabinieri, spesso imbelli e consenzienti a tali spogliazioni, i garibaldini rivolsero le loro attenzioni alle armi occultate dalle bande di ispirazione monarchica ed attendista, che derivavano dagli arsenali dell’ex Regio Esercito e dai primi lanci paracadutati nel biellese occidentale.
Per ottenere questo risultato i comunisti non esitarono a sequestrare e in alcuni casi ad uccidere gli esponenti partigiani moderati e questi primi depositi di armi entrarono in loro possesso.
In seguito, in conseguenza di accordi inconfessabili e di sfrontati calcoli strategici, iniziarono con sempre maggiore intensità i lanci di materiali alle formazioni garibaldine, che ormai erano le uniche presenti nel biellese e nella vicina Valsesia.
In questi contenitori, paracadutati in grande quantità, non c’erano solo le armi, ma munizioni, esplosivi di nuova generazione, timer sofisticati, apparecchi radiofonici, viveri, divise, attrezzature di casermaggio, mappe, documenti falsi e tanto, tanto denaro.
I reparti repubblicani per contro vivevano ristrettezze d’armamento davvero preoccupanti.
Le fabbriche d’armi, collocate essenzialmente nel bresciano, producevano per e sotto il controllo dei tedeschi e all’esercito repubblicano finivano miseramente le briciole di questa già scarsa produzione.
Alle varie formazioni repubblicane non restava altro che arrangiarsi, come ampliamente testimoniato dai documenti e dalle immagini che vado recuperando negli archivi.
Si va dal marò e dall’ausiliaria della X° Mas inviati in missione da Ivrea verso Brescia in “autostop” per concordare l’acquisto di una partita di armi automatiche, al faccendiere accusato nel dopo guerra di aver trattato la vendita dell’innovativo mitra TZ 45 a vari reparti repubblicani.
In generale ognuno cercò di arrangiarsi come poteva per poter sostenere un combattimento con formazioni partigiane sempre più e potentemente armate dagli alleati.
Alcuni reparti cercarono di arrivare prima dei partigiani ai contenitori lanciati dagli aerei nemici.
E’ il caso della “Tagliamento” a Crevacuore, quando con opportune segnalazioni visive i fascisti riuscirono a dirottare i lanci verso le loro posizioni, acquisendo i fantomatici mitra “Sten” che spesso vediamo fotografati nelle loro mani, o come i militi della Brigata Nera di Biella che vediamo schierati in piazza Duomo equipaggiati dello stesso mitra di fabbricazione inglese.
Gli armamenti restavano comunque inferiori rispetto alle potenzialità nemiche, anche perché i reparti meglio equipaggiati venivano dirottati al fronte, quello meridionale e orientale, che più premevano giustamente ai comandi militari.
La lotta fu quindi sostanzialmente impari, contro un nemico che operava con improvvise imboscate e successive fughe nella boscaglia, mai affrontando lo scontro in campo aperto dove la superiore preparazione al combattimento avrebbe probabilmente avuto la meglio.