L’ECCIDIO DEL “MONTACCIO”

Le vittime furono prelevate a gruppi di cinque o sei alla volta, e portate attraverso il paese verso il “Montaccio”.
Lungo il percorso venivano costretti ripetutamente a inginocchiarsi per terra, sollevarsi, distendersi al suolo e risollevarsi.
Poi giunti al “Montaccio” le vittime dovevano togliersi abiti, scarpe e tutto ciò che potesse consentire una postuma identificazione e, strisciando nudi per terra, portarsi fino al bordo di una cava piena d’acqua e di melma.
E lì, col viso rivolto in basso, avveniva l’esecuzione.
Una delle vittime, un ragazzo di soli 15 anni, che aveva implorato pietà lungo tutto il percorso, tentò alla fine una disperata fuga, ma uno dei carnefici lo prese di mira e gli fece saltare le cervella.
In settimana ho ricercato quel luogo.
Il “Montaccio” è ormai un fitto bosco al limitare del paese.
Giunto in una piccola radura un capriolo era immobile a poca distanza da me.
Mi osservava con innocenza, penetrandomi con lo sguardo.
Non ho potuto non assimilarlo a quel ragazzo che era corso disperatamente incontro alla vita in quella giornata di orrore di 76 anni fa.