LE STRAGI DI FASCISTI DI VERCELLI

Ci sono pubblicazioni dell’immediato dopo guerra, che pur nella comprensibile imprecisione dei dati anagrafici, riportano testimonianze che negli anni successivi sono state parzialmente epurate o del tutto cancellate dalla narrazione dei fatti.
E’ il caso del diario dell’ufficiale della Brigata Nera “Ponzecchi” Adamo Vaghi che venne riportato parzialmente nel testo partigiano “Giellismo vercellese” e poi dimenticato per gli anni a venire.
Ho ritrovato una versione integrale del diario relativa ai primi giorni di detenzione del gruppo di ufficiali fascisti che si erano arresi ai partigiani e che erano stati tradotti a Vercelli nella sede del vecchio distretto.
La tragedia è palpabile.
I personaggi che poi si conosceranno come vittime delle stragi che si consumeranno ben oltre la fine delle ostilità, vivono le ultime ore del loro calvario rinchiusi in uno stanzone al piano terreno della caserma.
Feroci partigiani, che giungono da ogni parte della provincia, vengono a gruppi a visitarli, si arrampicano su una scala esterna per spiarne da un finestrotto l’agonia e a turno penetrano all’interno, infierendo bestialmente sui malcapitati già spesso agonizzanti o doloranti per ferite e fratture.
Un girone dantesco che si perpetua per giorni, nell’impotenza delle autorità religiose che sole cercano di portare conforto ai militi fascisti.
Poi tutto si conclude con le fucilazioni, le stragi, le eliminazioni nelle fredde acque del canale Cavour, coi due autocarri che fanno avanti indietro sul piazzale dell’Ospedale Psichiatrico di Vercelli, maciullando le povere vittime legate a terra.
Tutto si conclude frettolosamente, in maniera incompiuta, perché non c’è il tempo, non c’è sufficiente tempo per completare le stragi.
L’indomani mattina bisogna essere tutti là, bisogna cambiarsi, rassettarsi, ripulire le divise dagli schizzi di sangue dell’odiato nemico……..
L’indomani bisogna sfilare per le vie di Vercelli per festeggiare la liberazione.
Gli assassini in testa al corteo.
Tronfi della loro vendetta, della loro sfrontata inumanità.