Guido Garlanda, le colonie e i partigiani.

Prima di parlarne ho voluto leggere fino in fondo il libro di Guido Garlanda, “Biellese mio – 80 anni di storia di vita di memorie” edito negli anni 70.

Il libro riporta alcuni spunti interessanti riguardanti la guerra civile nel biellese, ma mi ha incuriosito il racconto autobiografico di questo personaggio, piccolo imprenditore laniero, che ben mi sembra rappresentare l’atteggiamento del mondo industriale locale.
Guido Garlanda prende le distanze dal fascismo, almeno nelle pagine di questo postumo racconto, non prende la tessera del Partito Fascista, ma non disdegna le interessanti opportunità commerciali che l’Italia coloniale gli offre.
Parte per l’Africa e vi svolge un’intensa attività commerciale, spostandosi freneticamente tra le varie località del neonato Impero Fascista.
Descrive in questa parte del libro la situazione organizzativa della colonia, le difficoltà che gli italiani si trovarono ad affrontare, il clima e le caratteristiche delle varie città, le ardue comunicazioni, l’atteggiamento della popolazione locale e dell’industria nazionale.
Sempre con un occhio a mio parere forzatamente critico, riporta però i risultati dell’immane lavoro che l’Italia portò a termine in quegli anni, nel mezzo di soverchianti difficoltà e delle note sanzioni economiche.
Poi la guerra, il ritorno in Patria e la descrizione della quotidianità e delle privazioni belliche.

Ho trovato interessante questo piccolo racconto :

“Un giorno venne un amico ad avvertirmi che nella mia casa di Strona avevano preso alloggio ben 23 partigiani.
Rabbrividii.
Tenevo colà gran parte della mobilia e quanto d’altro avevo salvato dai bombardamenti di Torino.
Accorsi con mia moglie.
Arrivammo sul mezzodì e, prima di entrare, chiedemmo rispettosamente permesso.
Entrati, trovammo seduti a tavola 22 baldi giovanotti contrassegnati dalla stella rossa sul petto, ed un adulto di mezza età, il capo banda.
Stavano pranzando al suono di una musichetta trasmessa dal mio apparecchio radio in un angolo e aperto a tutto volume.
Sorrisi. Anche per fare coraggio a mia moglie.
Il capo mi domandò cosa volevo.
Nulla, risposi, sono il padrone di casa e desidero solo di fare personale conoscenza dei miei inquilini”.

L’industriale “antifascista” a quel punto condusse una lunga e articolata trattativa e riuscì, nel giro di una settimana, a far sloggiare i graditi intrusi, indicando loro alcune case disabitate del paese e rifornendoli di viveri, arredi e suppellettili da cucina.