Argante Bocchio, il perseguitato.

Nello scorrere la nuova biografia difensiva dell’immarcescibile comandante partigiano Francesco Moranino, alias “Gemisto”, rimango colpito da questa fotografia, scattata nei giorni della liberazione di Vercelli.

“Gemisto” è in testa alla colonna affiancato da “Macario”, quel don Mario Casalvolone, cappellano della 50° Brigata garibaldina, che presenzierà pochi giorni dopo alla fucilazione del prefetto Morsero al cimitero di Vercelli.

Dietro di loro il fedelissimo vice comandante Argante Bocchio, personaggio simbolo del fedele attivista comunista passato dal carcere come oppositore al regime fascista, alla guerra partigiana più spietata, fino alle radiose giornate della liberazione.

Bocchio però verrà coinvolto nel dopo guerra nelle indagini del processo Moranino e quindi nell’accusa di avere scientemente eliminato altri partigiani non comunisti.

Sarà costretto a due anni di latitanza, ospitato dai vari aderenti al partito comunista, fino a che lo stesso Elvo Tempia, nome di battaglia “Gim”, non lo raggiungerà in un covo e lo convincerà a fuggire in Cecoslovacchia.

Lì, anticipato dalle informazioni giunte dall’Italia, verrà additato come figlio di imprenditori ed inviato in una fattoria collettiva per “proletarizzarsi”.

E’ incredibile leggere nella sua biografia quanto questi fuoriusciti italiani abbiano dovuto scontrarsi con l’ottusità comunista e patirne per anni le conseguenze.

Veri e propri reclusi, riusciranno a liberarsi da quel giogo oppressivo solo dopo parecchi anni, quando in Italia verranno prosciolti o più semplicemente amnistiati.