A CERCAR LA BELLA MORTE

“Non appena cominciavano ad apparire le prime case sparse dei sobborghi della città, c’era sempre qualcuno pronto ad annunciare: “Ehi, ragazzi, stiamo arrivando”.
Ed era il segnale.
Raddrizzavamo gli elmetti, si ricomponevano le fila sulle panche.
Dagli autocarri che precedevano giungevano, a folate, portate dalla corsa, frammenti di canzoni, e, come per contagio, il canto si accendeva per tutta la colonna.
Era come un lungo brivido che percorreva le fila dei camion.
Immediatamente la voce sorgeva dentro di te, esplodeva, si mescolava con quella degli altri.
Cristo, eri ancora vivo ! L’avevi riportata indietro la pelle.
Era un improvviso turbine che ti travolgeva e ti stordiva. La tua voce che si fonde con quella degli altri, cresce, si gonfia, ci si perde in mezzo, e ti ritorna indietro ingigantita.
Percorrevamo vie e piazze buie, sfilavamo porticati pieni di ombre, marciapiedi deserti.
Il canto si dilatava e si contraeva a seconda del mutare degli spazi, si perdeva nelle vie laterali.
Scorgevo i visi tesi dei compagni, quelle bocche che si aprivano ed emettevano suoni con furore.
Il canto rimbalzava contro le imposte chiuse, e subito si restaurava quella contrapposizione.
Loro erano là, nelle loro case, al caldo dei loro letti, i borghesi, estranei ottusi, si erano ritirati con modi circospetti e lì erano rimasti.
Immaginavo i bisbigli ansiosi ed increduli dietro le finestre: “Loro ? Ancora loro ? Da dove tornano ? Ma cosa vogliono ?”
E il silenzio pieno di angoscia che lasciavamo dietro di noi.
Ci esaltava quel senso di violazione, l’impressione di penetrare in un corpo ostile, che i nostri canti facevano sussultare.
“Sì, siamo noi ! Siamo tornati. I monti non ci hanno inghiottito. Noi siamo quelli che tornano sempre. I mai morti “
Al riparo del tendone le nostre voci si gonfiavano rabbiose “All’erta imboscati, che gli emme son tornati !”
(da Carlo Mazzantini “A cercar la bella morte” Milano 1995)
Quella città era Vercelli e quei monti erano quelli del biellese, della vicina Valsesia.
Quando mi capita di risalire la Val Mastallone, la Val Strona, la Val Sessera, dove ad ogni curva poteva incombere un agguato, ad ogni paese una trappola mortale, quelle atmosfere sono ancora tangibili e quei tragici fatti tremendamente reali nella mia mente.