UN ESEMPIO DI VUOTA BUROCRAZIA, L’ATTO DI MORTE DI VINCENZO DE MAYDA

A chi attende ansiosamente la pubblicazione del mio libro, voglio raccontare un piccolo ma significativo episodio che mi è appena accaduto.
Al fine di completare l’anagrafica dei circa 1000 caduti fascisti del solo biellese, ho da tempo scritto ai più di 80 comuni della provincia, per avere conferma dei dati anagrafici reperiti nel corso delle mie ricerche.
Ai comuni chiedo copia della pagina di registro riportante il nominativo del caduto, nella quale compaiono anche data, luogo e circostanze della morte.
Dopo 70 anni non esistono più limiti di riservatezza ed i dati sono per legge liberamente consultabili.
Ieri, dopo più di due mesi dalla richiesta, mi giunge una telefonata dall’impiegata di un comune.
Spiego all’incaricata che mi è sufficiente la semplice immagine della pagina del registro, ma poche ore dopo mi giunge per email il canonico certificato di morte che riporta gli scarni dati essenziali previsti per legge.
Telefono quindi all’incaricata che mi comunica che per ottenere i dati richiesti devo effettuare esplicita richiesta di atto integrale di morte.
Replico che forse sarà nel giusto ma mi sembra incredibile che tutti gli altri 80 comuni non abbiano sollevato contestazioni ed abbiano fornito la documentazione richiesta, ma decido comunque di assecondare l’impiegata e mi precipito direttamente nel suo ufficio dove compilo la domanda sotto diretta dettatura.
Oggi mi giunge l’agognata email.
Il ragazzo si chiamava De Mayda Vincenzo, di 19 anni.
A stilare l’atto di morte è incredibilmente lo stesso padre De Mayda Francesco, Commissario Prefettizio (Sindaco) del medesimo paese, che immagino con la morte nel cuore abbia redatto il triste atto amministrativo.
Il ragazzo era partito volontario nella 1° Compagnia I° Battaglione “SS Italiane”, da non confondere con i reparti impiegati nei campi di concentramento germanici.
Le SS Italiane furono il primo reparto combattente volontario inviato a fronteggiare lo sbarco alleato sul Fronte di Nettuno, a difesa di Roma capitale.
Il 14 aprile 1944 la sua pattuglia saltò in aria su una mina nel corso di un pattugliamento notturno nei pressi di Borgo Scalo a Littoria, nell’agro romano.
Vincenzo morì sul colpo insieme a due commilitoni.
Venne invece ferito gravemente il comandante del gruppo, il tenente Filippani Ronconi, personaggio poliedrico morto solo pochi anni orsono, che riceve per l’azione la croce di ferro di II° classe.
Stilano il documento di morte il tenente Cisari Raimondo, delegato dal Tenente Colonnello Carlo Federico degli Oddi comandante del Reparto, alla presenza del sottotenente Lesmo Giancarlo Ufficiale Medico e del tenente cappellano Padre Paolino Giuseppe Colombini.
Tutto ciò all’interno di un semplice certificato di morte, che rischiava di rimanere per sempre ignoto all’indagine storica per la zelante rigida interpretazione amministrativa di un funzionario comunale.
Sento proprio in questi giorni pontificare nelle assise di governo in merito alla sburocratizzazione della cosa pubblica e stento veramente a comprendere quale sia stato lo scopo di queste sterili resistenze.
Fortunatamente non mi sono rassegnato ed il sacrificio del giovane Vincenzo De Mayda verrà in futuro da me ricordato.