Il reduce

…..sul letto, distesa, quasi abbattuta, una ragazza con gli abiti strappati. Su di lei, con un ginocchio insinuato in mezzo alle cosce, un soldato mongolo in atto di violentarla….Giacinto afferrò il mongolo per il moschetto che questi portava a tracolla, lo girò di peso e gli sferrò un violento pugno alla faccia, poi lo scaraventò fuori dall’uscio….
Il mongolo non capiva bene quel che stava succedendo, ma quando vide Giacinto imbracciare il mitra e puntarlo su di lui, cominciò a parlare nella sua sconosciuta lingua gutturale, inframezzata con qualche parola appresa nel paese. Mentre diceva: “bono camerata, bono”, gli occhi supplichevoli rivolti a Giacinto, questi premette il grilletto, senza più staccare il dito, finchè il caricatore non fu vuoto, ed un piccolo fumo bianco si sprigionò dalla culatta dell’arma……..

Questo è uno dei racconti che si possono leggere su “Donne e mitra” pubblicato nel 1950 da Enrico De Boccard, uno dei primi reduci della Repubblica Sociale Italiana che prese carta e penna, vinse l’avversione generale e scrisse il racconto della sua guerra, dalla parte dei perdenti.

Pur conoscendolo, il libro è raro e mi mancava e proprio ieri sono riuscito ad acquistarlo al mercatino di Vercelli.

Ma il fatto singolare è un altro.

Da ragazzi si frequentava un reduce, uno dei più loquaci e divertenti nei racconti.

Inframezzava i suoi ricordi di guerra con battute e canzoncine del regime, e con accento romagnolo ci intratteneva per ore con fare guascone.

Ebbene, povero B……,uno dei classici suoi racconti, forse il più ripetuto, era proprio la fotocopia di quello narrato nel libro.

Chissà perchè ha avuto il bisogno di fantasticare sulle sue doti guerriere.

Una delusione che oggi, a tanti anni di distanza, colgo con un sorriso benevolo sulle labbra.

Caro B…….., forse eri più semplice e buono di quanto volevi farci sembrare.