Mosso – 17 febbraio 1944 – I fucilati di Mosso

Alle ore 13 del 21 febbraio 1944 i militi del 63° Battaglione “M” Tagliamento, fucilarono presso il cimitero di Mosso Santa Maria sette garibaldini che erano stati catturati il giorno prima al monte Prapian o Massaro, quello su cui brulicano i ripetitori al di sopra della panoramica Zegna.
Un ottavo partigiano venne graziato perchè appartenente alla stessa banda da soli tre giorni e perchè non aveva preso parte ad alcuna azione militare.
I militari fascisti, giunti da Trivero ed evidentemente guidati da persone del luogo, avevano accortamente aggirato i partigiani appostati sulla cima del monte, e li avevano sorpresi alle spalle. 
Il gruppo, del quale facevano parte anche un ex prigioniero australiano ed uno neozelandese, apparteneva al distaccamento garibaldino del “Piave” ed era comandato da Luigi Tortella “Lupo” che si dice si fosse suicidato pur di sottrarsi alla cattura.
La circostanza non è certa, non essendoci testimoni diretti, ed è analoga ad altri racconti mitizzanti sulla fine di alcuni capi partigiani ( ad esempio il Biscotti di Pollone).
Certo è che Lupo cadde in combattimento ed i suoi uomini si arresero.

I cadaveri dei 7 garibaldini del “Piave” giacciono accanto alla chiesa del cimitero di Mosso Santa Maria, ma la vicenda è cominciata quatto giorni prima.
La notte del 17 febbraio 1944 infatti, varie pattuglie del distaccamento “Piave”, appartenenti alla 2° Brigata Garibaldi “Biella”, erano scese a Cossato.
Ogni gruppo aveva con se un elenco di civili da prelevare. 
Sono agli ordini di Piero Maffei, comandante del reparto.
In un paio d’ore riescono a prelevare indisturbati 12 persone, di cui cinque donne. 
Enrico Carta invece viene freddato sulla porta di casa, con il più piccolo dei suoi bimbi in braccio, che rimane miracolosamente illeso.
Verso mezzanotte però, messe in allarme da alcune segnalazioni, pattuglie di tedeschi e fascisti cominciarono a perlustrare l’abitato e alla periferia di Cossato, per la strada che conduce a Gattinara, una pattuglia tedesca si scontra con i comandanti della formazione comunista.
Nel conflitto a fuoco che segue restano uccisi il comandante Maffei, il commissario politico Ermanno Angiono ed il vicecommissario Edis Valle.
Nelle foto la chiesa del cimitero di Mosso Santa Maria e tre dei prelevati, Carlo Botta e le due figlie Gemma e Duilia di Cossato.
Oggi avrei voluto proseguire nel racconto distaccato dei fatti di Mosso, ma un commento al mio articolo di ieri del signor Rolando Magliola, che dal suo profilo risulta lavorare presso la Casa della Resistenza di Sala Biellese, mi ha indotto a consultare le schede informative disponibili sul web dei due capi partigiani coinvolti.
Le schede, redatte ufficialmente a cura dell ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), riportano una ricostruzione fantasiosa e distorta dei fatti ma soprattutto affermano che “….. dopo la cattura del PRESIDIO FASCISTA della cittadina…..” “…..fucilarono a Mosso i REPUBBLICHINI catturati a Cossato”.
Trovo persino superfluo contestare nel merito tali menzognere affermazioni, voglio solo precisare che l’Istituto Storico della Resistenza e L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia sono lautamente finanziati dai comuni e dalle istituzioni italiane e quindi sarebbero tenuti a riportare verità storiche accertate e sempre documentate.
Ecco l’elenco dei dodici civili prelevati e subito fucilati dai partigiani :
Carlo Botta 59 anni e le sue due figlie Duilia di 23 anni e Gemma di 21;
Francesco Repole 61 anni agricoltore;
Raffaele Veronese 42 anni impiegato;
Giuseppina Goi 49 anni operaia;
Ernesto Ottina 46 anni negoziante e sua moglie Tecla Graziola di 45;
Leo Negro 46 anni commerciante;
Giovanni Maffei 39 anni agricoltore;
Sandro Tallia 25 anni commerciante;
Palmira Graziola 57 anni;
La notte del 17 febbraio 1944 quindi varie pattuglie di partigiani del distaccamento “Piave” scesero a Cossato.
Ogni squadra aveva un numero di civili da prelevare, ma in un caso l’ostaggio venne eliminato immediatamente, in altri casi le persone non aprirono l’uscio o non vennero trovate in casa, e si salvarono.
I tre comandanti partigiani decisero pertanto di effettuare una ricognizione in auto ma vennero sorpresi ad un posto di blocco dai soldati tedeschi e perirono nel conseguente scontro a fuoco.
Ho sfogliato i giornali dell’epoca ma non risultano perdite da parte tedesca e non certamente nel numero millantato in seguito dai partigiani.
Nelle tasche di uno degli uccisi venne ritrovato l’elenco dei 30 civili che intendevano prelevare, ma solo 12 di questi furono effettivamente catturati.
Questi sono i fatti.
Ho pensato che il reparto, privato d’un colpo dei suoi comandanti, sbandato per l’insuccesso dell’azione ed intenzionato a vendicare la loro morte, abbia agito d’istinto fucilando immediatamente i poveri civili che nelle intenzioni probabilmente dovevano essere prima interrogati per accertare eventuali responsabilità.
I parenti spergiurarono che erano tutti estranei alla RSI, ma io ritengo che fossero quanto meno sospettati dai partigiani di esserne simpatizzanti.
In un caso, il commerciante Ottina con la moglie, egli aveva addirittura fornito a più riprese materiale ai partigiani, ma si disse aveva avuto in seguito l’ardire di pretenderne il pagamento.
Fatto sta che il giorno dopo, alle 12 del 18 febbraio, tutti i prelevati, tra cui ben cinque donne, vennero fucilati sul muro della chiesetta del cimitero di Mosso.
Ma la tragedia doveva ancora riservare un tragico epilogo.
Il giorno successivo alla strage, il maresciallo Alfonso Taverna, comandante della stazione dei carabinieri di Mosso Santa Maria, si suicidava con un colpo di pistola per il rimorso di non essere riuscito ad impedire il massacro.
Un uomo giusto in mezzo alla tempesta.
La reazione fascista non si fece attendere.
La sera del 19 febbraio 1944 forti formazioni repubblicane attaccarono Mosso Santa Maria provenendo da Cossato.
In contemporanea truppe tedesche risalirono la Valle d’Andorno operando una manovra a tenaglia.
I partigiani cercarono di resistere, ma furono travolti e costretti ad arrendersi o a fuggire verso la Valsesia.
Tra il 13 e il 20 febbraio il distaccamento del “Piave” ebbe 13 caduti, sul monte Prapian morì il comandante Luigi Tortorella “Lupo” ed i suoi uomini vennero catturati.
Il Bocchetto Sessera venne incendiato, le postazioni abbandonate e le formazioni partigiane si dispersero trovando scampo oltre i monti, nella lontana Valsesia.
Il 21 febbraio, i militi della “Tagliamento” fucilarono i sette partigiani per rappresaglia, sullo stesso muro insanguinato del cimitero di Mosso.