La storia della Trappa

La delibera del Comune di Sordevolo, riportata nell’articolo precedente, trattava di svariate motivazioni avverse alla costruzione della Trappa. Si paventava che l’edificio potesse fornire asilo a malviventi e disertori, e si reputava di nessuna utilità la presenza nella zona di una nuova comunità religiosa, che potesse distrarre risorse alla già fragile economia contadina della valle. Il Sindaco di Sordevolo era Bernardo Vercellone e per un quarantennio almeno le vicende videro la contrapposizione feroce dei Vercellone con la famiglia Ambrosetti, costruttrice della Trappa. Nello specifico Ambrosetti dichiarò che “la fabrica non doveva servire per ricevere di niuna relligione” e che la chiesa in oggetto non sarebbe stata aperta al culto ma avrebbe avuto funzione di cappella privata. Con tale giustificazione l’Ambrosetti proseguì nei lavori di edificazione del complesso ed in soli 20 anni la Trappa raggiunse le dimensioni e l’aspetto attuale. Nel prossimo capitolo passerò ad analizzare le ragioni della sua costruzione e le attività che presumibilmente vi si svolsero in questo primo periodo.

Gli Ambrosetti, costruttori della Trappa, possedevano in Sordevolo ben 4 rinomati opifici per la trasformazione della lana ( Rua, Bruco, Pareur e Roncole) in cui confluiva la produzione di un centinaio di laboratori domestici di filatura e tessitura. Disponevano altresì nell’Alta Valle Elvo di fabbricati adibiti al ricovero delle greggi e probabilmente alla tosatura ed ai pre-trattamenti della lana. Pare inoltre che al Vaneij, precedentemente alla costruzione della Trappa, sorgesse un edificio dove confluivano le greggi provenienti dai monti per la tosatura. Il Neiretti cita gli statuti comunali del tempo, affermando che la popolazione di ovini fosse in quel tempo di circa 1300/2000 esemplari. La cosa mi pare poco verosimile, sia per l’alto numero di insediamenti, sia per il fatto che l’allevamento di bovini sfruttava risaputamente anche il versante valdostano. La necessità laniera era tanta e i pascoli alti, quelli dove oggi si innescano gli incendi di infausta memoria, allora erano destinati alle pecore che ripulivano completamente gli impervi pendii. D’altronde ancora oggi, singoli greggi di 1500 esemplari, si possono incontrare sulle nostre montagne.

Gli scettici in merito all’attività di opificio tessile dell’insediamento della Trappa, annoverano varie motivazioni a sostegno delle loro tesi. Si dice che la zona del Vanei fosse povera di corsi d’acqua in grado di supportare tali lavorazioni, ma chi frequenta la zona sa, che proprio accanto alla Trappa, c’è addirittura una sorgiva oltre che un canale di derivazione. Si sostiene inoltre che mancavano comode vie di comunicazione per la valle, mentre all’epoca esisteva una via carreggiabile, della quale sono ancora presenti numerosi tratti, e della quale, al tempo della cessione del fabbricato, veniva imposta la manutenzione ai frati trappisti. Nello stesso atto di vendita ai religiosi, vengono elencati i beni pertinenti la proprietà, e tra questi figurano “gli ordeni per pretare le stoffe, l’ordiura e i contorni di pietra per le caldeje”. Se ne deduce pertanto che al Vanei in epoca precedente esisteva un fabbricato agricolo adibito alla tosatura e al ricovero delle greggi, che costruita la Trappa ivi si svolse per anni la medesima attività ed in aggiunta quelle lavorazioni di pre-trattamento che potevano essere effettuate in quota. La lana semilavorata veniva quindi trasportata a Valle per il finissaggio e la tessitura. Il personale impiegato ai Vanei pare ammontasse a circa 20 unità, alle quali andavano aggiunti i rispettivi familiari.
Voglio ora considerare le ragioni che spinsero gli Ambrosetti verso la metà del ‘700 a costruire una fabbrica tessile di tali dimensioni ad una quota così elevata. Gli industriali di Sordevolo disponevano, come ricordato, di ben quattro fiorenti stabilimenti a valle. L’attività produttiva procedeva in quegli anni in modo fiorente, procurando commesse prestigiose ed ingenti ricavi. Si sperimentava altresì in quel tempo l’introduzione di razze ovine che potessero migliorare resa e qualità del prodotto. La visione quindi degli Ambrosetti fu quella di creare una struttura imponente che seguisse da presso la zona di allevamento e che potesse interfacciare la lavorazione vera e propria. Certo fu anche una questione di prestigio, e la possibilità di annoverare un quinto opificio al limite dei monti, probabilmente solleticò l’ambizione della famiglia. Ingenti furono le risorse profuse per questa costruzione, sia in termini materiali che sotto l’aspetto legale-amministrativo. Sicuramente presenti anche alcune temporanee fascinazioni religiose. Fatto sta che dopo quasi 40 anni, ci si rese conto dell’antieconomicità dell’opera e, stante una contemporanea crisi della produzione laniera, si corse ai ripari e si pensò alla vendita dell’edificio.
Narrano i vecchi di Sordevolo che nel 1796 gli industriali Giovanni Martino, Giuseppe Bernardo e Gaspare Ambrosetti, riputati fra i migliori lanieri dello stato Sardo, ebbero la visita di un trappista che forniva loro le lane. L’ospite in saio sarebbe stato accompagnato fra le balze del Mucrone nella regione detta Vaneij ove gli Ambrosetti possedevano ed esercitavano uno dei loro lanifici. L’aspra solitudine, il verde pianoro sul quale s’innalzava l’edificio, avrebbero colpito la fantasia del monaco. Di qui nacque in lui il disegno di edificare in quei luoghi un cenobio. (Pietro Torrione – Storia della Trappa nei monti del biellese)
Il 16 agosto 1796, presso l’Oratorio di San Filippo in Biella, viene ratificata la vendita della fabbrica di Vanej ai monaci trappisti. L’importo concordato è di lire 30 mila di Piemonte da pagare in tre rate con relativi interessi. Ma chi erano questi monaci e da dove venivano? A seguito della Rivoluzione Francese e della conseguente soppressione degli ordini religiosi, un gruppo di frati provenienti dall’Abazia di Notre Dame de La Trappe emigrò dapprima in Svizzera e poi nell’Abazia di Barge, nel basso piemonte. Da li un ulteriore piccolo gruppo, guidato da don Francesco di Sales, al secolo Ugo Burdet, giunse al Vanej sui monti biellesi. I monaci erano 20 e dai documenti dell’epoca se ne conoscono nomi, origine ed età. Uno solo era sordevolese, Giorgio Girelli, ventiseienne, oblato, col nome di fratel Policarpo.
Monsignor Canaveri alla Trappa di Sordevolo.
Gran festa si stava preparando alla Trappa negli ultimi giorni di settembre del 1801. Fra quelle balze doveva salire il Vescovo di Biella Mons. Giovanni Battista Canaveri per la prima visita pastorale.
Il vescovo, era giunto a Sordevolo già fin dal giorno antecedente per amministrare la cresima a numerosi fanciulli del paese e due monaci della Trappa, il corista fra Ilarione e il converso fra Sebastiano.
Il mattino Mons. Canaveri saliva alla Trappa a dorso dell’unico cavallo del monastero accompagnato dai sacerdoti. Stupenda era la giornata.
Quella comitiva che saliva fra le balze del Mucrone nella solennità della montagna aveva qualcosa di maestoso. Si arrivò alla Trappa quando il sole era già alto, l’unica campana del convento suonava a festa. Presso la porta era stato eretto un arco con rami di faggio e di castagno, ed alla sommità capeggiava una scritta in latino di augurio per il Vescovo.
L’ospite radunò i frati e parlò loro in merito alla regola dell’ordine trappista. Procedette quindi alla visita e trovò gli arredi sacri e tutto il convento in perfetto ordine. Canaveri lasciò il monastero già immerso in una pace profonda. Aveva benedetto i monaci e li aveva rassicurati ahimè sulle vicende politiche. Pietro Torrione – Storia della Trappa nei monti biellesi.
Commuove la povertà e la semplicità dei monaci. Un arco di semplici rami di faggio e castagno………un ordine perfetto…….poichè in inventario risulteranno un solo guardaroba ed alcune lose per la riparazione del tetto! ……….una rassicurazione che a breve poco sarebbe valsa……..
Si giunse così all’agosto del 1802. La repubblica Francese estese al Piemonte i provvedimenti per la soppressione degli ordini religiosi. I monaci trappisti negli anni avevano sofferto fame e angherie, l’estrema povertà non aveva loro permesso neppure di pagare per intero la prima rata delle 30 mila lire agli Ambrosetti, cosicchè gradatamente i terreni limitrofi erano loro stati tolti. Avevano chiesto allora al Comune di Sordevolo l’assegnazione di un terreno, annualmente conferito ai bisognosi, al fine di poter coltivare qualche patata, ma anche questa richiesta era stata loro negata. Si erano quindi ridotti al solo edificio e, stante la nuova legislazione, abbandonarono malinconicamente Vaneij. I monaci provenienti dall’estero dovettero fare ritorno ai loro paesi, e gli Ambrosetti riacquistarono all’asta la loro intera proprietà.
Prima di abbandonare il convento i monaci donarono gli arredi e i pochi paramenti sacri che possedevano, alle Confraternite di Sordevolo.
L’unica campana della Trappa fu portata a San Francesco di Rubiola.
Ieri sono andato alla Rubiola per scattare questa fotografia. L’amico Corrado Martiner Testa, che ha fornito parte delle fotografie che hanno corredato questi articoli, mi ha telefonato proprio allora. Gli ho detto che ero a Sordevolo a fotografare la campana della Trappa…………..e proprio allora lei si è messa a suonare……….qualcosa di questa storia ancora vive……..quotidianamente.